Motivazioni
Esser
santi non sempre è una condizione naturale. E' vanità al suo apice
estremo è
un'erta vetta, richiede dedizione e sacrifici inenarrabili. Vanità alimentata al miele dagli
elogi e dissetata dall'ambrosia dall'autocompiacimento. Per poter ottenere e ambire la
santità occorre un ego affetto da elefantiasi, bulimico, inguainato di cattiveria come un
leggings in latex, somigliante ad un serpente strisciante che avanzando dissecca tutt'intorno a sè.
Altro elemento essenziale e imprescindibile per rapinare l'anelata aureola
sono i loro disgraziati beneficati, le vittime necessarie.
un'erta vetta, richiede dedizione e sacrifici inenarrabili. Vanità alimentata al miele dagli
elogi e dissetata dall'ambrosia dall'autocompiacimento. Per poter ottenere e ambire la
santità occorre un ego affetto da elefantiasi, bulimico, inguainato di cattiveria come un
leggings in latex, somigliante ad un serpente strisciante che avanzando dissecca tutt'intorno a sè.
Altro elemento essenziale e imprescindibile per rapinare l'anelata aureola
sono i loro disgraziati beneficati, le vittime necessarie.
L'antefatto
Qualcuno,
fu una donnetta rinsecchita, uncinata sotto il peso della sua cappa
in lana pesante color grigio topo, fatta a crochet dalle sue stesse
manucce da rapace, scevre di carezze su villosa pelle mascolina o
sodi muscoli virili, ricoperte di pelluccia fredda e scolorita, già
in via di mummificazione in vita, se mai lo fu. Arrivava
inesorabilmente puntuale e cominciava il rito della spoliazione e
della vestizione, o viceversa cambiando l'ordine. Entrava e usciva
dalla scuola esattamente come nulla entrò o uscì da lei. Unico
andirivieni a lei conosciuto. Rito che nelle sue intenzioni doveva
apparire naturale e che in realtà era quanto di più vicino c'era al
sordido osceno esibizionismo. Aveva inizio poggiando sulla cattedra,
con la delicatezza di un prete che porge l'ostia consacrata nella
labbra tremule di un moribondo, la sua rattrappita cartella di pelle.
Luttuosamente nera, misteriosamente sottile, leggera, dall'apparenza
vuota. Lo faceva con un gesto quasi di timorosa reverenza con le
storte gambucce inviolate e speranzosamente tremebonde. Si toglieva
il cappottino grigio topo di campagna e il foulard di lanetta a fiori
marrone e grigio che le dava l'unica parvenza di rotondità alle
guance concave. Con puntiglio metteva il cappotto sulla stampella e
il foulard appoggiato sopra, posizionava con la circospezione di un
artificiere la stampella sull'attaccapanni. A quel punto lentamente
indossava il suo grembiule di raso nero abbottonandolo
meticolosamente, dagli stinchi fin sotto il mento, azione eseguita
con lenta inquietante violenza, con laido gusto, bottone dopo
bottone, mai con distrazione o automatismo, vigile e coscientemente
sadica, implacabile, che non un solo millimetro di pelle rugosa
avesse libera uscita o godesse di luce diurna! Captivus derma!
La
crocchia a palletta, misera e flaccida come un'albicocca vizza.
Ovviamente grigia.
Tutto
come prescritto nel manuale in edizione economica Della Perfetta
Santa edito dalla Bizzocchesadomaso &Co.
Il
manuale parlava chiaro: per ottenere la santità occorrevano
sacrifici umani! Naturalmente non dell'aspirante Santa, ammesso che
lo fosse!
I
capitoli
Primo
capitolo
Il
primo capitolo del manuale delle aspiranti sante era dedicato al
mestiere più adeguato per avere vittime sempre comodamente a
portata di mano. Si consigliava vivamente
di fare la maestra delle elementari. Si aveva tempo a
disposizione per applicare il metodo certosino col quale trasformare
un bambino, possibilmente vivace e gioioso, in una vittima, nei casi
più trascurabili e dozzinali. In caso di un successo accettabile,
trasformarlo in una vera carogna. In caso di tripudio, in un
assassino. Sarebbe stata l'apoteosi se lo si trasformava in un
killer seriale!
Secondo
capitolo
Trattava
la scelta dell'attrezzatura o, i ferri del mestiere. Qui si poteva
spaziare ed era il punto nevralgico del programma, il punto in cui
chi aveva talento o particolari doti sadiche, poteva farne sfoggio e
poteva, addirittura, gareggiare con le altre aspiranti sante.
La
munizione preferita dalle bizzocche con diploma magistrale ed
ermeticamente scudate da raccomandazione presso il ministero da
parte del parroco era il Martirologio e i suoi devastanti esempi, i
libri per ragazzi delle Edizioni Paoline, e alle bambine, citare
ossessivamente Santa Maria Goretti....chissà perché...
Altra
ferraglia da offesa erano gli occhi. Solitamente inafferrabili:
micidiali quando, avendo puntato la vittima, si posavano come
avvoltoi sul povero bimbo come a ghermirne il puro cervello, fino a
quel momento pensante, e nei casi più biasimevoli, addirittura
agghindato di dignità e autostima.
Decisione.
Quel bambino avrebbe avuto la carità, le attenzioni salvifiche, le
cure dalla sacrificata per l'altrui bene. E per
il bambino era la fine.
Terzo
capitolo
Come
far pesare il bene ricevuto, e quanto farlo pesare, e come questo
bene, per il beneficato, sarebbe stato motivo per maledire l'esser
nato nello stesso pianeta della sua benefattrice. E a quel punto, in
nuce la consapevolezza, nella mente del bambino, dell'esistenza del
delitto! La coscienza della possibilità dell'uso delle armi da fuoco
e da taglio...la vendetta!
Anche
il beneficato doveva attenersi a standard ben precisi, rigidi, e
raramente derogabili.
Come
primo requisito il beneficato deve avere massimo 7 anni, essere
povero, parlare male la sua lingua, una pagella con voti disastrosi.
In oltre: madre e padre impegnati a sfamare la prole con scarsi
risultati, meglio, molto meglio se alcolizzati e disoccupati,
l'optimum se fossero stati cenciosi.
Una
pacchia, una prateria immensa per scorrazzare nel cervello del
bambino prescelto!
Dopo
l'accurata lettura e lo studio approfondito del manuale si passa alla
pratica, all'azione sul campo.
Primo
passo: posizionare il bambino al penultimo banco.
Ai
primi banchi solo bambini provenienti da famiglie agiate, meglio se
figli unici. Pettinati leccati, lucidati a specchio, con enormi
fiocchi artisticamente annodati, con scarpe sempre in ottimo stato,
lucide dalle punte non scolorite, non sformate o scorticate. Cartelle
comprate all'inizio dell'anno, studiosi o apparentemente studiosi,
con ottimi voti o dati sulla fiducia e dall'obbligo dell'apparenza a
famiglie conosciute: quella del direttore della scuola, per esempio,
o figli di altre maestre, colleghe della futura santa. Cattolici che
sapevano il Credo e l'Atto di Dolore a menadito, recitandoli
velocemente, meccanicamente, senza un'incertezza, un balbettio.
Questi bambolotti avevano sempre un'ottima e nutriente merenda dentro
la cartella. Non avevano mai fame, qualche volta mostravano appetito,
ma così, distrattamente.
Il
bambino deve espiare la colpa di appartenere ad una razza inferiore.
Secondo
passo: la privazione.
Mettere
il beneficato almeno una volta a settimana dietro la lavagna e
privarlo la sua misera merenda, generalmente consistente in due fette
di pane raffermo con un velo di marmellata o formaggino, posizionato
esattamente al centro e con i bordi fiscalmente asciutti!
Tutto
ciò che è suo è disprezzabile
Terzo
passo: l'umiliazione.
Leggere
ad alta voce il suo tema in classe e far notare alla scolaresca tutti
e trentacinque errori segnati in rosso suscitando l'ilarità
trattenuta degli altri scolari, ilarità tollerata solo in
quell'occasione e in quella forma perché funzionale al
raggiungimento dello scopo, altrimenti ridere sarebbe stato
esecrabile e mortale intorno all'aspirante santa.
Era
nata per soffrire e far soffrire, mica per godere!
Quarto
passo: Le false speranze.
Far
baluginare nella mente del beneficante, ottenebrata dallo stillicidio
delle umiliazione, la possibilità, remota ma possibile, di un
miglioramento generale con il raggiungimento di un iperbolico 6/2 e,
in caso di buona volontà e dimostrazione di stoica applicazione,
persino ambire al terzo banco! Naturalmente con la tacita
accettazione del quotidiano dileggio e del sofferto sorrisetto
ironico e sconsolato affiorante nelle guance gessose della maestra,
l'aspirante santa. E con simili alunni c'erano ottime possibilità di
successo.
Occorrevano
metodo pazienza e perseveranza. Li aveva!
Quinto
passo: insinuarsi nella vita privata del bambino.
Chiamare
a colloquio la madre almeno una volta ogni due settimane. Riversarle
addosso, discretamente, sottovoce, con rammaricato dispiacere
personale tutti i deficit educativi, di personalità e scolastici del
figlio, accennando senza soffermarsi esplicitamente sull'aggravante
della carenza di pulizia e decoro nel vestire. Colpevolizzandola.
Inculcando alla madre con candore che se c'erano tutti questi
problemi, i motivi non potevano che essere essenzialmente due: che
lei era una cattiva madre e l'infimo quoziente intellettivo del di
lei figlio. Quindi doppiamente colpevole!
La
madre usciva dalla scuola con la certezza di avere per figlio un
rifiuto umano!
Sesto
passo: il controllo fisico.
Quel
bambino non doveva mai alzarsi dal banco motu proprio. Controllare
che non andasse in bagno più di una volta al giorno per far pipì e
in caso di defecazione infliggergli il tomento del diniego con la
scusa della dubbia doppia emergenza. Saltare era azione da dannazione
eterna tra le fiamme. Mangiare la sua misera merenda? Ecco il punto
cruciale. Far notare con raccapriccio che il bambino era avido!
Mangiava con movenze animali, con laido piacere e velocemente!
Intollerabile.
D-i-s-g-u-s-t-o-s-o!
Settimo
passo: la carità.
Nulla
più della carità fa male. Brucia come una fiamma ossidrica puntata
dritto al cuore, specie se non è richiesta, soprattutto se è
ostentata, imposta, pubblica, plateale. E se il beneficato deve
esibire il bene ricevuto nutrendo sentimenti ostili, è a quel punto
che nel suo cervello il seme della colpa da gracile virgulto di mala
pianta diventerà una sequoia!
...il
bambino vorrebbe già morire...
L'epilogo
L'azione
Nella
scuola si organizzano raccolte di abiti per gli indigenti. Qualcuno
sollecita i bambini delle famiglie più agiate a donare gli abiti
smessi dei loro figli. Il bambino beneficiante si chiede perplesso
perché Qualcuno, aspirante Santa, non si rivolge mai a lui ma sempre
a chi è assiso nelle fila dei primi banchi. Appare misteriosa
l'esclusione delle metà posteriore degli occupanti dell'aula. Ma poi
tutto gli è chiaro.
Arriva
il giorno in cui i “fortunati” portano gli abiti usati. Qualcuno
con movenze lente e sussiegose, come ad espletare una sgradevole
impellenza, sciorina con le sue rapaci manucce quegli abitini frusti,
spiegazzati, puzzanti di naftalina e muffa, tirati fuori chissà da
quali recessi, a malincuore e forzatamente quel magline scolorito o
quello smilzo cappottino buono per un bimbo dell'asilo. Alcuni
pantaloni con le toppe, due sciarpe fatte a mano che avevano già
strozzato diverse generazione e, ormai perduta la lanugine, non eran
più buoni nemmeno a far da spago per una valigia di cartone. Una
gonna di rozza lana a pieghe. Nera, con delle righe gialle a formare
enormi scacchi, impossibili non notarli e con un grosso buco peloso e
sfrangiato, esattamente al centro.
Qualcuno
guardò la gonna, poi la bambina, un perfido sorriso le illuminò le
lamellate labbra!
Vestire gli ignudi.
Gli occhi di Qualcuno
abbrancarono lubricamente la bambina e poi, calando con studio le
incartapecorite palpebre, calcolò la circonferenza del buco. Un
accenno di sorriso, pregustava il sollazzo, e la chiamò alla
cattedra per pascersi dell'umiliante scena che aveva preparato.
La bambina sorpresa va alla
cattedra, ascolta ma non capisce.
- Che cosa? -
-Cosa devo prendere?-
- Cosa devo provare?-
- Spogliarsi. Lì!-
-Togliersi la sua gonnella
a cannoncini di lana azzurra cucita dalla mamma ?-
-Devo obbedire?!-
Obbedì. Era lì, davanti
alla cattedra, al centro delle tre file di banchi. Ventitrè teste
iclinate e protese con quarantasei occhi attenti la guardavano.
Dritta, ipnotizzata da
tutti quegli occhi interessati e seppe, in quel preciso istante seppe
che lei era povera, ma non una povera qualsiasi ma una che aveva
bisogno della gonna della compagna del secondo banco, bambina non
agiata ma non classificata come poverissima, la sua famiglia poteva
benissimo privarsi di un capo rovinato, brutto, da buttare via e che
in quel caso, una vera risorsa per l'insperato aruffianio. Era lei la
bambina da vestire e nutrire con la beneficenza e a cui dare, e non
chiedere. Si guardò; si vide. Non si era ancora mai vista, non ci
aveva mai pensato ad essere, non sapeva di essere e non sapeva che si
poteva essere qualcosa in un modo o in un altro. Quel giorno ebbe
coscienza di se stessa.
Quel
giorno seppe anche di essere diversa. Vergogna.
Varcare la soglia della
santità.
La bambina torna a casa con
quel buco con intorno della rozza lana nera a righe gialle.
Scontenta. La mamma le dice
che tutto sommato, non è male, che le hanno fatto un regalo e che
non è educato rifiutare! Le dice che Qualcuno, la sua buona maestra,
ha avuto un pensiero gentile a preoccuparsi per lei. La bambina
insiste; quel regalo non le piace! Non sa perché ma le fa male,
protesta. La mamma a quel punto cede...anche lei ci sta male ma che
si può fare? Qualcuno si potrebbe offendere e, come le ha fatto
capire poco velatamente, potrebbe abbassarle i voti e aumentare i
castighi dietro la lavagna e senza merenda. Poi anche la mamma cede e
le dice che quella maestra offende anche lei ma, vedi cara, siamo
poveri sì, ma non così poveri come la maestra pretende. Non abbiamo
bisogno della carità ma Qualcuno non vuole sentire ragioni. Ha
deciso che deve occuparsi di te.
E allora, fallo per la
mamma, domani, indossa questa gonna, facciamola contenta, almeno per
un paio di volte !
- No!
Una volta soltanto, fallo
per me – supplice
- No e no!
Per favore....
- Una vola sola....
La
indossò
Il marchio
La
bambina va a scuola con la gonna a quadri rammendata. Sotto il
grembiule luttuoso affiorava un'abbondante spanna di gonna con quelle
inconcepibili righe nere. Nero l'umore. Varcata la soglia avanza tra
le due fila di banchi, la precedente proprietaria della gonna inclina
la testa facendo penzolare le sue lunghe trecce e a voce altissima
l'apostrofa:
–
hai la mia gonna!-
Qualcuno,
emise un sospiro, quasi un soffio, si credette persino sorridesse! La
sua opera era finalmente compiuta. Aveva operato per il bene, aveva
un beneficato, poteva finalmente dire di essere arrivata alla meta.
La
bambina si raggelò...e ancora lo è....
Alba
Rita La Mantia
A
Qualcuno, di mestiere maestra.
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